lunedì 6 aprile 2009

Quando 1 milione di ettari si affitta per 99 anni a costo zero

Paesi asiatici ed europei con disponibilità di capitali ma scarsità di terra coltivabile vedono nell’affitto di ampie porzioni di terreni nel continente africano un’ottima opportunità per risolvere i loro problemi di approvvigionamento. L’ultimo caso, di dimensioni colossali, riguarda la Corea del Sud e il Madagascar. Una filiale della multinazionale Daewoo ha appena concluso con il governo malgascio un accordo per prendere in affitto per 99 anni 1,3 milioni di ettari di terre attualmente non coltivate, occupate da savana dove pascolano le greggi dei pastori locali o da foreste primarie. L’accordo non prevede il versamento di somme di denaro al governo malgascio per l’affitto delle terre, ma Daewoo ne finanzierà la messa in coltura.
Non è chiaro se le terre del Madagascar dovranno fornire cibo per i coreani o mais e olio di palma, da utilizzare per produrre biodiesel, l'oro liquido del terzo millennio.

È la prima volta che viene concluso un accordo di tale portata, ma il Madagascar non è il solo Paese africano dotato di un notevole potenziale agricolo che interessa le multinazionali agroalimentari occidentali e asiatiche.
È anche il caso, tra gli altri, dell’Angola, dove la bozza di accordo con gli investitori stranieri prevede l’affitto di 20 mila ettari di terre; ma è solo il primo passo della strategia degli investitori, che puntano a lungo termine ad affittare fino a 2 milioni di ettari in Africa. La scorsa primavera, è stata la multinazionale americano Chiquita Brands, il primo produttore mondiale di banane, ad annunciare l’intenzione di impiantarsi massicciamente in Africa. Per il gruppo è una mossa strategica con lo scopo di aggirare gli ostacoli posti dall’Unione Europea all’importazione di banane dall’America Latina.

Le aziende private non solo le sole a cercare terre da affittare in Africa, per assicurarsi approvvigionamenti di derrate alimentari che nel futuro potrebbero essere sempre più difficili. Gli stati arabi del Golfo hanno in progetto massicci investimenti nelle terre africane.

Di fronte a questa caccia sfrenata alle terre agricole nei Paesi meno sviluppati del mondo la Fao, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, ha pubblicato di recente un documento che metteva in guardia contro il rischio di un «neocolonialismo» agricolo. Ma l’allarme, per quanto da una sede così autorevole, finora non è stato ascoltato.


Informazioni: tratte da articolo di Jean-Pierre Tuquoi per Le Monde - 20/11/2008 ripreso da La Stampa - 21/11/2008

Immagine: tratta da http://www.wildmadagascar.org - vista aerea di un'area deforestata per scopi agricoli

1 commento:

  1. Gli spunti di riflessione su quanto succede nel mercato di terre a scala planetaria sono molteplici. Espongo a ruota libera alcune di quelle che mi vengono in mente:

    1) La terra è diventata una risorsa insufficiente, nei paesi sviluppati, a soddisfare le esigenze di produzione alimentare ed energetica e si tende ad utilizzare quella di paesi meno sviluppati, poveri di risorse tecnico-economiche ma ricchi di risorse naturali, e cronicamente afflitti da deficit alimentari.
    2) Non credo che i vari investitori occidentali prima di mettere a coltura immense distese di terre e di trasformare immensi paesaggi abbiano fatto studi e valutazioni sull’impatto delle trasformazioni sulle economie locali e sulle risorse naturali, suolo compreso.
    3) C’è da mettere in evidenza che la maggiore ricchezza di paesi come il Madagascar consiste in un patrimonio biologico unico al mondo. Il Madagascar, ad esempio, ospita da solo il 5% delle specie animali e vegetali del mondo, l'80% delle quali sono specie endemiche.
    4) Chissà se gli stessi investitori hanno sufficientemente approfondito e dibattuto gli aspetti tassonomici dei suoli messi a coltura! Noi in Italia faremmo così, ore e ore a discutere se si tratta di inceptisuoli o alfisuoli.

    RispondiElimina

Si prega di inserire il proprio nome e cognome.
I post anonimi non verranno accettati dal moderatore.